3 luglio 2018

"Hotel Silence" di Auður Ava Ólafsdóttir


Buongiorno cari lettori, oggi vi propongo la recensione di un libro che ho voluto leggere fin dal primo momento in cui è uscito in libreria: Hotel Silence di Auður Ava Ólafsdóttir.
Come sempre, quando non sono sicura della lettura, vado in biblioteca perché voglio evitare di spendere soldi per qualcosa che potrebbe non piacermi.
Qualche anno fa avevo adocchiato un altro libro di questa autrice, il titolo mi ispirava un sacco ma non ero convinta e ho sempre rimandato la lettura, questa volta la cover mi ha catturata e la trama mi ha incuriosita moltissimo così non ho resistito.
Purtroppo Hotel Silence non mi entusiasmata come speravo e, nonostante la lettura sia stata scorrevole e piacevole, non posso dire di averla amata in modo completo e totale.


Titolo: Hotel Silence § Autrice: Auður Ava Ólafsdóttir § Pagine: 200
Casa editrice: Einaudi § Genere: Drammatico, Riflessivo

Jónas ha quarantanove anni e un talento speciale per riparare le cose. La sua vita, però, non è facile da sistemare: ha appena divorziato, la sua ex moglie gli ha rivelato che la loro amatissima figlia in realtà non è sua, e sua madre è smarrita nelle nebbie della demenza. Tutti i suoi punti di riferimento sono svaniti all'improvviso e Jónas non sa piú chi è. Nemmeno il ritrovamento dei suoi diari di gioventú, pieni di appunti su formazioni nuvolose, corpi celesti e corpi di ragazze, lo aiuta: quel giovane che era oggi gli appare come un estraneo, tutta la sua esistenza una menzogna. Comincia a pensare al suicidio, studiando attentamente tutti i possibili sistemi e tutte le variabili, da uomo pratico qual è. Non vuole però che sia sua figlia a trovare il suo corpo, e decide di andare a morire all'estero. La scelta ricade su un paese appena uscito da una terribile guerra civile e ancora disseminato di edifici distrutti e mine antiuomo. Jónas prende una stanza nel remoto Hotel Silence, dove sbarca con un solo cambio di vestiti e la sua irrinunciabile cassetta degli attrezzi. Ma l'incontro con le persone del posto e le loro ferite, in particolare con i due giovanissimi gestori dell'albergo, un fratello e una sorella sopravvissuti alla distruzione, e con il silenzioso bambino di lei, fa slittare il suo progetto giorno dopo giorno...Auður Ólafsdóttir ha scritto il suo romanzo piú bello, il piú essenziale, tenero e ironico. Un libro che è un segno di pace, una stretta di mano laica che ci riavvicina a quanto di umano dentro di noi resiste agli orrori del mondo.

Jónas è un uomo sulla soglia dei cinquant’anni che improvvisamente ha perso tutti i suoi punti di riferimento.
Dopo più di vent’anni di matrimonio, di cui otto passati in una situazione coniugale sterile e solitaria, la moglie lo lascia definitivamente dandogli una notizia incredibile e devastante: la figlia che Jónas ha cresciuto con tanto amore non è sua!
Per l’uomo è un colpo tremendo, pian piano, infatti, scopriamo che Jónas era un giovane pieno di sogni, voleva studiare filosofia e desiderava fare carriera nel mondo accademico ma tutto si infrange quando la ragazza che sta frequentando saltuariamente gli annuncia di essere incinta.
Di fronte a ciò Jónas rinuncia al suo futuro, si fa carico delle proprie responsabilità, prende in mano la ditta di famiglia e decide di vivere la vita che il destino ha voluto per lui.
Ora dopo più di vent’anni scopre che tutte le sue scelte e le sue rinunce si sono fondate su una menzogna! 
Il dolore e lo smarrimento si fanno strada nel cuore di Jónas e l’idea del suicidio diventa sempre più tangibile.
Inizia così la ricerca della morte perfetta: meglio spararsi o impiccarsi? Meglio
annegare o imbottirsi di pillole?
Jónas si rifugia nei suoi pensieri, fa ricerche su internet, cerca di capire cosa c’è dietro il desiderio di togliersi la vita e, alla fine, giunge a una conclusione: non può morire a casa propria perché la figlia troverebbe il corpo e sarebbe una cosa terribile, meglio partire e suicidarsi all’estero, di nascosto.
Quale posto migliore di un paese martoriato dalla guerra?
Con un solo cambio di vestiti e una cassetta degli attrezzi (utile per fissare il chiodo del cappio al soffitto) Jónas parte e arriva in un luogo dimenticato da tutti, un luogo di dolore, miseria, bruttezza, violenza e sofferenza!
Forse non era il paese adatto per compiere l’atto estremo, tra le macerie delle vite spezzate degli altri, Jónas capisce che i suoi problemi sono scemenze, bazzecole.
Come può lamentarsi della propria vita quando ha davanti l’orrore dalla guerra?
Così, a poco a poco, l’uomo arrivato senza uno scopo trova un suo posto nel mondo, Jónas inizia ad aiutare le persone, sistema case, mobili e giardini e, man mano che aggiusta i vari oggetti rotti, aggiusta anche il suo cuore.
Come potete vedere la storia ha un potenziale enorme, ammalia e chiede di essere letta ma alla fine non prende, non cattura.
Queste tematiche così forti vengono trattate in modo superficiale, scorrono troppo velocemente, non sedimentano.
La storia narrata sembra una bella favola dove l’uomo distrutto rinasce grazie all’amore per il prossimo, la ricostruzione degli oggetti rovinati diventa metafora della ricostruzione dell’animo umano, l’aiuto reciproco permette così la rinascita di entrambe le parti.
Tutto ciò è bellissimo, la morale che nel fare del bene si possa ritrovare se stessi è potente ma, in questo caso, non è credibile.
Nella prima parte del libro ci immergiamo nello sconforto di Jónas che, nonostante si presenti come un uomo triste e in difficoltà, non sembra affatto così tormentato da togliersi la vita.
Il suicidio è l’atto finale di un percorso di dolore esistenziale tremendo, una
grande oscurità che invade la mente e la vita di una persona, un male così intenso e drammatico da togliere il respiro, un dolore sordo che attaglia la persona ogni volta che apre gli occhi.
Jónas non è affatto così, è un uomo smarrito e infelice, su questo non ci sono dubbi ma non così tanto da compiere un atto così estremo.
Inoltre mi sono chiesta se, una persona malata a tal punto da voler suicidarsi, possa vedere lucidamente il dolore degli altri, un depresso ha davvero voglia di interrogarsi? Ha desiderio di fare bricolage? Trova la forza di aiutare il prossimo?
Non so, non sono proprio convinta.
La scrittura dell’autrice resta comunque meravigliosa ed elegante, ho apprezzato moltissimo lo stile asciutto e schietto, a tratti cupo ed estremamente realistico.
Proprio per questo voglio leggere qualcos’altro di suo, forse Il rosso vivo del rabarbaro.
Una nota positiva sono i personaggi femminili estremamente forti: la figlia di Jónas, sua madre ma anche la proprietaria dell’Hotel Silence.
Donne che hanno visto molto ma che sono state in grado di darsi pienamente e di accettare la vita, punti fermi e luminosi in mezzo all’incertezza maschile.
Forse verso la fine un po’ di speranza aveva invaso il mio cuore e, anche se poco convinta, mi sono lasciata andare ma poi, di colpo, sono rimasta spiazzata dal finale che lascia confusi e sconfortati.
In conclusione per me resta un grande “Mah”!

Valutazione

CONOSCI L'AUTRICE
Auður Ava Ólafsdóttir è nata a Reykjavík nel 1958. Ha insegnato Storia dell'arte ed è stata direttrice del Museo dell'Università d'Islanda. Per Einaudi ha pubblicato Rosa candida (Supercoralli 2012, Super ET 2014; tradotto in tutti i maggiori paesi europei e negli Stati Uniti), La donna è un'isola (Supercoralli 2013, Super ET 2014), L'eccezione (Supercoralli 2014, Super ET 2015), Il rosso vivo del rabarbaro (Supercoralli 2016) e Hotel Silence (2018).

2 commenti:

  1. Concordo con quanto hai scritto, temi importanti ma trattati troppo velocemente che scorrono via in una storia a lieto fine, un pochino scontata. Leggibile per carità, ma anche per me non è scattata quella scintilla che di solito mi fa amare un libro.

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    1. Ho apprezzato molto di più altri libri della stessa autrice.

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